Il Rotary, fondato a Chicago proprio il 23 febbraio del 1905 dall’avvocato Paul Harris, basa la propria filosofia sul “servire al di sopra di ogni interesse personale”, trasmettendola sul territorio con gli strumenti a propria disposizione e facendo della solidarietà e dell’amicizia i suoi valori cardine. 
C’è una domanda di fronte alla quale noi rotariani ci sentiamo di solito imbarazzati, perché non sappiamo da dove cominciare a rispondere: “Che cos’è il Rotary?”.
Paul Harris rispondeva nell’ottobre del 1945, da Chicago, nel Prologo a “La mia strada verso il Rotary”, che “è più semplice enumerare tutto ciò che il Rotary fa, piuttosto che dire che cos’è”. Si ferma, alla maniera americana, alle conseguenze, con tre “Se”, (tre “If” alla Kipling nella sua famosa ‘Lettera al figlio’):

Se il Rotary ci ha incoraggiato a considerare la vita e gli altri con maggior benevolenza, se il Rotary ci ha insegnato ad essere più tolleranti e a vedere sempre il meglio in ognuno, se il Rotary ci ha permesso di creare contatti interessanti e utili con altri che a loro volta stanno cercando di catturare e trasmettere la gioia e la bellezza della vita,
allora il Rotary ci ha dato tutto ciò che possiamo attenderci”.

Vogliamo ripercorrere le modalità ed i momenti della nascita del Rotary in Italia, riproponendo – soprattutto per i soci di più recente ingresso nel Club – il testo di una relazione che il nostro ex Past President, ora Socio Onorario, Piero Caponi tenne il 12 marzo 2009.

L’instaurazione del Rotary in Italia

Il modello americano

La celebre formula coniata da Arthur Sheldon (foto)He profits most who serves best”, (profitta di più chi meglio serve) richiama immediatamente la teoria utilitaristica secondo la quale ogni comportamento etico e politico non può essere che quello dell’utilità generale, cioè della “massima felicità per il maggior numero di persone”, e come tale sarebbe stata destinata a rimanere parte integrante del corredo filosofico rotariano.

Questa formula sarà presto affiancata da un’altra, “Service above self” (il servizio al di sopra di sé stessi), tesa a stemperare la connotazione da taluni giudicata “mercenaria” della precedente.

È stato anche scritto che nella struttura filosofica del R appaiono i riflessi della “visione tecnocratica di un nuovo ordine industriale, emersa dalle file di ingegneri, professionisti e uomini d’affari progressisti associatisi nella progettazione della futura repubblica industriale”.

Con queste prerogative il R si rivolgeva alle élite dei diversi continenti, le invitava a sperimentare i metodi che in America avevano avuto un così grande successo e li spronava a costruire una barriera contro la lotta di classe nel mondo.

 

Il primo club in Italia

Nel luglio del 1923 il Board – modificando l’atteggiamento sino ad allora tenuto – decise di ammettere l’Italia nel novero dei paesi idonei ad accogliere il R.

Non c’è traccia sulle ragioni precise che indussero la dirigenza a mutare opinione. Si ritiene tuttavia probabile che tale decisione sia stata influenzata dal conciliante atteggiamento del governo statunitense verso il nuovo governo insediatosi in Italia.

Di lì a poco, con l’inaugurazione del club di Milano, il 20 novembre 1923, partiva l’esperienza del R in Italia. Il fatto che il primo club rotariano in Italia nascesse proprio a Milano, nonostante fossero stati intrapresi contatti fin dal 1918 a Napoli e Genova (città legate agli Stati Uniti da importanti linee marittime), a Torino, Roma e Firenze (città dove l’esistenza di consolati favoriva la possibilità di relazioni), porta a ritenere che il Board considerasse la città ambrosiana particolarmente idonea, più moderna ed evoluta delle altre.

È infatti in quegli anni che si formano a Milano i primi club all’inglese per soli uomini. Sarebbe stata proprio questa “aspirazione alla modernità” a fornire il giusto collante grazie al quale alcuni imprenditori di origini aristocratiche, ma anche altri provenienti da autentiche dinastie industriali e del commercio, decidessero di svolgere un ruolo di primo piano.

Il processo di avvicinamento al R da parte degli industriali milanesi era in realtà cominciato qualche tempo prima. Da una lettera del 31 dicembre 1919 da parte di un dirigente del Board a Elwin Rooney, presidente del club di Chicago, si apprende che l’industriale milanese Alberto Frua era stato ospite di una riunione di questo club e si era detto profondamente interessato a crearne uno simile a Milano.

Il nucleo promotore del club di Milano – a differenza di  altre realtà come ad esempio, in seguito, quella di Napoli dove erano preponderanti gli americani – era di provenienza perlopiù britannica. Vi si distinguevano in particolare Reginald Mountney, corrispondente finanziario del Manchester Guardian, e James Henderson, industriale tessile scozzese ormai naturalizzato “ambrosiano”, che divenne poi il primo presidente di un club R in Italia.

Ma il vero apostolo del Rotary in Italia fu l’ing. Leo Giulio Culleton. Durante la sua vita organizzò un’infinità di svariatissime imprese e, fra esse, quella del Rotary Italiano non è certamente la meno riuscita. James Henderson

L’idea gli venne quando un suo cugino, che era stato presidente del Rotary Club di Dublino, gli chiese “Perché non avete il Rotary in Italia?”. Culleton fu subito colpito dalla domanda. “L’avremo”, rispose semplicemente. E così fu.

La lista dei fondatori del club di Milano era di 24 soci e le cariche vennero così distribuite:

  • Presidente, James Henderson (D.G. Cucirini Cantoni Coats)
  • Vice Pres., Giorgio Mylius (Presidente Ass. It. Cotonieri)
  • Segretario, Leo Giulio Culleton (Responsabile per l’Italia della Worthington, pompe e compressori)
  • Tesoriere, Enrico De Giovanni (D.G. Burroughs, meccanica tessile)
  • Consiglieri, Roberto Pozzi (consulente di diritto internazionale per l’industria cotoniera) e Reginald Mountney (corrispondente del Manchester Guardian e responsabile di un’impresa per l’affitto di macchinari tessili).

Appare chiaro il legame dei soci fondatori con l’industria tessile. Questo settore, così come quello meccanico, si distingueva nel campo industriale perché individuava “nel ricorso al mercato le prospettive di espansione, anziché nell’aiuto dello Stato,” in perfetta analogia con lo spirito anglosassone.

Questi uomini erano di fatto i naturali sostenitori di molti dei principi rotariani e dell’americanismo in generale, quale ad esempio la filosofia della libera circolazione di uomini e capitali, del mercato concorrenziale, dei salari alti.

In accordo con la linea solitamente adottata dal R i dirigenti del club di Milano, in quanto “pionieri”, si accollarono il compito di organizzare nuovi club in Italia.

Nacquero così nel 1924 i club di Trieste, di Genova, di Torino, Napoli, Palermo, Venezia e Roma.

Benché inizialmente Culleton avesse in animo di fare un R simile a quello statunitense, il R italiano nacque e si sviluppò su presupposti dichiaratamente elitari, per quanto da parte dei promotori si tenesse a sottolineare che l’orientamento “aristocratico” non era tanto una questione di censo quanto inteso a raggruppare il meglio della classe dirigenziale italiana.

Stava insomma prevalendo la linea di un’azione altamente selettiva, nella generale convinzione che la diversa composizione della società civile italiana rispetto agli USA avrebbe impedito il successo dei criteri “americani”.

 

Il periodo fascista

Nel 1925, con la creazione di altri 5 club – Firenze, Livorno, Bergamo, Parma e Cuneo – fu concesso di costituire il Distretto 46, il primo d’Europa, con l’intento da parte del Board di evitare la spinta autonomistica che si concretizzava in un Consiglio Nazionale del R, in linea le indicazioni di Mussolini.

 

Il Rotary d’altro canto accoglieva nelle sue fila un significativo numero di esponenti di spicco del Regime; l’azione del governo Mussolini nei confronti del Rotary richiama anche in questo caso quella abitudine all’”ambivalenza” che spesso si manifestò anche in questioni di ben più ampia rilevanza politica.

Lo stesso governo faceva mostra di gradire i numerosi messaggi che gli venivano tributati dai rotariani italiani e stranieri, inviando a sua volta apprezzamenti nei confronti del Rotary all’estero; allo stesso tempo si premurava di mantenere i club italiani in uno stato di continua incertezza sulle loro sorti future.

Lo sviluppo dell’organizzazione rotariana era condizionato peraltro dalla necessità in cui si trovavano i suoi aderenti di non dare adito al sospetto di essere antifascisti o anche soltanto di sostenere tesi contrastanti con le impostazioni governative.

Da parte del regime si guardava con simpatia alle riunioni settimanali come a spazio di espressione “non sovversivo”. Anche la presenza onoraria di membri di Casa Savoia fu di aiuto al R (Mussolini invece rifiutò).

Già nel 1926 però i membri legati al regime mettevano sotto accusa il “codice etico rotariano”, l’internazionalismo e il suo pacifismo.

Durante il 1928 il R fu attaccato duramente oltre che dal fascismo anche dalla chiesa cattolica. È da osservare che si stavano stilando i Patti Lateranensi; infatti 4 giorni dopo la loro firma il Vaticano vietava ai membri del clero di far parte dell’”organizzazione Rotary” e metteva tutti in guardia contro un R che considera le religioni tutte uguali, ammette persone di qualsiasi fede, pretende di moralizzare i suoi affiliati.

Il fascismo tuttavia non aveva preso fino ad allora provvedimenti drasticamente restrittivi anche se fu scritto (Corriere d’Italia) che “… il rotariano ideale era un business-man che quando non tirava a far denaro stava al tabarin intento alla pochade, al jazz, ai cocktail…” e simili canagliate.

Gradualmente gli attacchi del Vaticano e del Partito Fascista portarono il R sull’orlo dello scioglimento che si evitò a scapito della sua autonomia con un governatore eletto per due anni solo dopo il nulla-osta di Mussolini in persona e con nuovi ammessi solo se aderenti al fascismo. Nel 1933 il R si può giudicare perfettamente allineato. Fra i punti di maggior contrasto restavano i contatti del R con la Società delle Nazioni e il conseguente, accampato “internazionalismo”.

Nel 1935 era Governatore il generale Piccione che stante i buoni rapporti con Mussolini riesce a tenere a Venezia la Conferenza dei R europei. Intanto iniziava la guerra d’Etiopia con inevitabile inasprimento dei rapporti fra Italia e Società delle Nazioni.

Il Distretto invitò i rotariani a contattare club esteri per sostenere il punto di vista italiano in merito alle “sanzioni” subite ed ai loro effetti deleteri sull’economia del Paese. Non è chiaro se questa fu un’iniziativa autonoma del Distretto oppure una specie di “diplomazia parallela” ispirata o imposta. Nel contempo in ambito rotariano italiano si arrivò al riconoscimento delle vittorie italiane e a dichiarazioni sul nostro diritto all’espansione.

Durante una sua visita in Italia il Presidente internazionale fu condotto a Palazzo Venezia ma gli uscieri si rifiutarono di annunziarlo a Mussolini che intanto non aveva approvato la candidatura di Roma per la Convention mondiale del 1941.

Si avvicinava un altro anno difficile (1938) con dimissioni di dirigenti, sospensione delle sedute e dell’attività, scioglimento di club.

A Trieste il Federale convocò uno ad uno i soci chiedendo loro le dimissioni dal R.

Nello stesso anno si promulgarono le leggi razziali e si ordinò lo scioglimento del R, era il 14 novembre 1938.

 

Il secondo dopoguerra ed i nuovi rapporti con la Chiesa

 

Dopo il 25 luglio 1944 i club di Palermo e di Messina ottennero dalle autorità militari alleate il permesso di riorganizzarsi e di riunirsi.

Nel ‘45 celebreranno la prima riunione del dopoguerra anche Napoli e Firenze.

I nostri club dovevano cancellare il termine “Rotary Italiano” e non si dovevano invitare i membri di Casa Savoia.

L’Italia diventava comunque il primo paese ex-nemico a rientrare nel R.I.

Alla cerimonia di inaugurazione del nuovo club di Roma intervennero molte personalità della politica e del Governo anche se il cardinale Ottaviani consigliò De Gasperi di non partecipare a causa dei sedicenti legami del R con la tradizione italiana di associazioni segrete.

Nel 1948 il 46° Distretto aveva di nuovo 29 club attivi per 1400 soci.

Nel 1953 i club italiani erano 93 riuniti nell’87° Distretto con circa 5000 soci.

Nel 1955 si arrivò ai 4 Distretti nonostante che il Board fosse contrario e accusasse i rotariani italiani di un certo “elitarismo”, stigmatizzando la difficoltà di trovare in Italia qualcuno esterno al R che fosse informato su cosa questo rappresentasse.

I rapporti con la Chiesa, da sempre particolarmente difficili, si inasprirono ancor più allorché un nuovo decreto del Sant’Uffizio, datato 11 gennaio 1951 (Papa Pio XII), ribadiva che non era consentito ai «sacerdoti di iscriversi al Rotary o presenziare alle sue riunioni» (salvo peraltro ammettere che il R fosse utile ai fini di «elevazione spirituale o materiale verso il prossimo» !) e invitava i fedeli a «guardarsi dalle associazioni segrete e sospette che cercano di sottrarsi alla legittima vigilanza della Chiesa».

Ma nel novembre del ’57 il cardinale Montini partecipò ad una riunione rotariana quasi a segnare la fine dell’ostracismo e della fredda diffidenza che per trent’anni avevano caratterizzato la posizione del Vaticano.

Nell’aprile del 1959 papa Giovanni XXIII riceveva il Presidente Internazionale Clifford Randall accompagnato da alcuni Governatori: un gesto senza precedenti destinato però ad avere seguito negli anni successivi.

Paolo VI, in una udienza del marzo 1965, tra l’altro affermava: «La vostra attività contribuisce alla formazione e coesione delle classi dirigenti della società; e mentre distingue e qualifica a un livello superiore al comune i soci del Rotary, non li separa né li oppone alle altre classi sociali, bensì li stimola ad assumere coscienza per le proprie funzioni e li esorta a mettersi con più generosa dedizione al servizio del bene comune».

Nel 1963 i club erano 192 con 11.000 soci. Erano allora rotariani, oltre a grandi industriali, anche politici fra i quali Einaudi, Merzagora, Pella e Vanoni.

Gli anni ‘60 sono normalmente indicati come quelli del boom economico. Il R ha una costante diffusione, raggiunge i centri minori e consegue una graduale ma sensibile democratizzazione nella composizione sociale dei club.

Gli anni ‘70 sono troppo vicini per dover essere raccontati… e oltretutto nel 1973 nasce il Rotary Club Arezzo Est, e questa è tutta un’altra storia…

 

 

Relazione del Past President 1978-’79,
PHF+5, Socio Onorario, Piero Caponi,

tenuta il 12 marzo 2009

 

L’instaurazione del Rotary Club in Italia

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